mercoledì 7 gennaio 2015

Il cuore a Parigi

Sto disegnando un libro, è il mio lavoro. Non è un libro scritto da me, in parte non ne condivido il senso (in parte sì). Non è questo il punto. Il punto è che disegnando le cose di altri mi campo e ho tempo per concentrarmi sulle cose mie. Io non racconto drammi da cinepanettone. Io scrivo, con in mano il cuore grondante sangue, i drammi della mia gente. Appartengo a un popolo preso ogni maledetto giorno a calci in faccia. Ho fatto una scelta. Dura, pesante, professionalmente pericolosa. Io non scrivo per risalire la scala sociale, io scrivo e disegno come atto di esistenza umana.
Sento fortissima la mia appartenenza al genere umano, con le sue debolezze, le mie. Con l'odio e la disperazione. Sento l'appartenenza alla mia terra e alla mia storia. Sento la mia appartenenza sociale, quelli con la strada in salita a cui nessuno regala mai nulla.
Sento la mia appartenenza, forte, a quella strana razza di persone che scrive e disegna. A quelle voci libere che nelle proprie opere fanno i conti con il mondo perché, in primis, li hanno fatti con la propria testa, dentro la propria casa, dentro la propria società.
Sono triste e incazzato.
Fra poco uscirò dal mio studio e salirò a casa, lì guarderò un quadretto appeso al muro. Sopra un Lupo Alberto mascherato con le orecchie di Topolino, campeggia una scritta: Beati quelli che sanno ridere di se stessi, perché non smetteranno mai di divertirsi.
E riderò.

Oggi ho disegnato questo, farà parte del libro nuovo.
Mi dà da mangiare, così sarò abbastanza in forma da continuare a urlare quanto questo mondo non mi piace.

Oggi il mio cuore, lo stesso che gronda sangue ogni volta che scrivo, è a Parigi. Nelle case di tutti, senza distinzioni.

Charb, Cabu, Honoré, Tignous e Wolinski oggi sono morti.
Lunga vita a loro.